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Teorie del complotto

giovedì 4 giugno 2009 5 commenti

Le mosche cocchiere dicono che è in atto un complotto internazionale per destabilizzare il Governo e rovesciare il presidente del Consiglio. A leggere le  dichiarazioni di autorevoli esponenti del governo – ultimi i ministri Sacconi e Frattini – i possibili moventi dei pesantissimi commenti apparsi sulla stampa estera sarebbero tre:

1. L’invidia: anche se le ricerche internazionali mostrano che Berlusconi ha nel mondo una stima pari a quella riservata a Fidel Castro, in patria gode di un consenso del 105%. E perciò Obama e gli altri, gelosissimi della sua popolarità, vogliono screditarlo.

2. La soggezione psicologica: Franceschini attacca il premier e i maggiori giornali del mondo danno credito a Franceschini.

3. La vendetta: la campagna stampa non è orientata né dalle cancellerie estere né da Franceschini. Il burattinaio è il magnate dell’editoria Rupert Murdoch, che ha trovato l’occasione per vendicarsi della manovre ostili messe in atto dal governo italiano contro Sky, di cui Murdoch è maggiore azionista.

Lascio all’intelligenza dei lettori valutare l’attendibilità dei primi due moventi. Il terzo, invece, merita qualche parola in più. Poniamo perciò che sia vero.

Significa forse che il controllo della stampa e delle televisioni è sufficiente per veicolare i messaggi in grado di perseguire interessi individuali, distorcendo la verità a proprio piacimento? Significa che il mero affidamento di incarichi pubblici a chi opera con ruoli di primo piano sulla scena dell’economia e perciò ha, inevitabilmente, molti nemici, determina – conflitti di interesse a parte – l’insorgere di reazioni dall’estero che danneggiano così pesantemente l’immagine dell’Italia e la sua credibilità politica?

Mi convinco sempre di più che Silvio Berlusconi sia un macigno al collo di questo Paese nel mare aperto delle relazioni internazionali: e se pure, per mera ipotesi, quel macigno fosse d’oro, sarebbe un lusso che si può permettere solo chi ha voglia di affogare.

Update (grazie ad annì): il complotto internazionale non si ferma: oggi The Times paragona Berlusconi all’imperatore romano Tiberio.

Un Paese sempre più in-credibile

lunedì 1 giugno 2009 5 commenti

L’aspetto più sgradevole del comportamento di Silvio Berlusconi non è che è un buffone sciovinista, né che corre dietro a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando della sua posizione per offrire loro posti di lavoro come modelle, assistenti o perfino, assurdamente, come candidate al Parlamento Europeo. Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui tratta l’opinione pubblica italiana. L’attempato Dongiovanni può trovare divertente o anche temerario agire da playboy, vantarsi delle sue conquiste, umiliare la moglie e fare apprezzamenti che molte donne troverebbero grottescamente inappropriati. Ma quando vengono poste domande legittime su relazioni scandalose e i giornali lo sfidano a spiegare legami che quanto meno suscitano dei dubbi, cade la maschera del pagliaccio: minaccia i giornali e le televisioni che controlla, invoca la privacy, rilascia dichiarazioni evasive e contraddittorie, e poi melodrammaticamente promette di dimettersi se si scoprisse che mente“. Così inizia l’editoriale pubblicato oggi dal misurato quotidiano britannico conservatore The Times, che osserva come “non sono solo gli elettori italiani che vogliono sapere cosa stia accadendo. Lo chiedono anche gli sconcertati alleati internazionali dell’Italia“.

Il quotidiano spagnolo progressista El Pais scrive invece che le rivelazioni sulla licenziosa vita privata del premier hanno “trasformato l’Italia in un manicomio, quantunque l’entourage di Berlusconi invochi niente di meno che il coinvolgimento della CIA” e riporta (come già pubblicato ieri non solo dall’Unità ma anche dal Corriere della Sera), che le foto sequestrate ritraggono uno stuolo di ragazze, alcune apparentemente minorenni, che seminude giocano tra loro sotto la doccia, si fanno palpeggiare da Berlusconi o intrattengono l’ex premier ceco Topolanek, anche lui immortalato “senza veli“.

Inevitabile quindi – osserva il Financial Times – che impedire la pubblicazione delle foto compromettenti sia stata in questi giorni la prima preoccupazione del premier italiano (definito pochi giorni fa “un esempio deleterio per tutti“), proprio mentre venivano diffusi i dati sulla portata della crisi in Italia (PIL a -5%, disoccupazione al 10%) e la FIAT stava conducendo, da sola, una difficile trattativa con il governo tedesco per l’acquisto della OPEL. Un’accusa pesante di incapacità a governare che accomuna la “voce” del capitalismo britannico a quanto pubblicato giorni addietro da Liberation, primo giornale della sinistra francese.

Non sono voci isolate: oltreoceano, il New York Times nel commentare il Noemigate ha descritto questa Italia come avviata ad una decadenza che ricorda quella dell’impero romano descritta nel Satyricon di Fellini, mentre il settimanale Time commenta triste “Benvenuti in Berlusconistan“, accomunando così il Belpaese ad una qualunque delle satrapie ex-sovietiche, nella quale “il maestro dei manipolatori” controlla il consenso interno e opera al di fuori della legge e della credibilità internazionale.

Il punto è proprio questo: la credibilità internazionale dell’Italia, nelle redazioni dei giornali come nelle cancellerie, non è mai stata così bassa come con l’attuale governo, e il premier – che nell’esposto alla procura per il sequestro delle foto ha dichiarato lui stesso di essere ricattabile – non è adatto a rappresentarla.

Tragedia e farsa

martedì 12 Maggio 2009 3 commenti

La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia la seconda come farsa“, scriveva (più o meno) il vecchio Carlo Marx, di cui si ignora la parentela con Groucho. Sbagliato: talvolta tragedia e farsa si palesano contemporaneamente.

E così, nel giorno in cui l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, con il beneplacito del Segretario Generale Ban-Ki Moon, accusa formalmente il governo italiano di violare la Convenzione ONU del 1951 che vieta la pratica del respingimento dei profughi, vengo a conoscenza della costituzione del Comitato della Libertà che propone la candidatura di Berlusconi al premio Nobel per la Pace, “per il suo indiscusso impegno umanitario in campo nazionale ed internazionale“.

Grazie a Phonkmeister per la seconda notizia. La prima, invece, si trova su tutti i giornali (tranne il Sole-24 Ore diretto dal corrosivo Gianni Riotta, che in homepage parla di Berlusconi solo in relazione alla panchina del Milan).

Il perdono del papa ovvero: “Graecia capta ferum victorem cepit”

giovedì 29 gennaio 2009 7 commenti

Come osserva oggi Filippo Di Giacomo su La Stampa, la revoca della scomunica papale per i vescovi lefebvriani è avvenuta a 50 anni esatti dall’annuncio di Giovanni XXIII dell’indizione del Concilio Vaticano II, le cui determinazioni furono causa profonda dello scisma dei tradizionalisti, palesatosi solo nel 1988 con la consacrazione di quei vescovi senza il necessario placet papale.

I seguaci di monsignor Lefebvre sono noti soprattutto per il rifiuto di usare di norma le lingue correnti in luogo del latino nelle celebrazioni, come prescritto dal Concilio. Ma il mantenimento dello scisma su questo aspetto liturgico avrebbe di per sé ben poca ragion d’essere dopo che Benedetto XVI, nel 2006, ha riammesso motu proprio l’uso del vecchio messale tridentino. In realtà, la frattura generatasi con il Concilio correva molto più in profondità, e toccava alcuni aspetti essenziali nel ruolo della Chiesa nel mondo.

Non è un mistero che Lefebvre non sottoscrisse la dichiarazione conciliare Nostra Aetate che, nell’assicurare alcune aperture alla libertà religiosa, chiuse ogni spiraglio di legittimità all’antigiudaismo su base teologica che pure aveva contraddistinto la Chiesa cattolica in anni non troppo lontani. Di più: i tradizionalisti tutt’oggi rifiutano l’idea di una società e di una politica autonome dalla religione, e anzi avversano la definitiva rinuncia all’esercizio del potere temporale che lo stesso Concilio intese affermare. Di qui la loro radicale avversione a tutti i pontefici dopo Pio XII, considerati senza mezze misure usurpatori del trono petrino.

Su questi aspetti, va registrato che  da parte dei membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X non vi è stato alcun passo indietro, né mediante documenti ufficiali né mediante dichiarazioni ufficiose (benché stiano dimostrando di essere piuttosto ciarlieri…). Salvo qualche datato richiamo generico all’obbedienza nei confronti dell’autorità papale, l’unico atto formale consiste infatti nella lettera di scuse del loro leader per le affermazioni negazionistiche di mons. Williamson: una lettera che, a partire dalla scelta di indirizzarla al pontefice anziché ai destinatari delle persecuzioni negate, non riconosce gli ebrei (e con loro a tutte le minoranze perseguitate) come interlocutori, confermando di fatto il passaggio dell’intervista secondo il quale “l’antisemitismo può essere cattivo solo quando è contro la verità. Ma se c’è qualcosa di vero non può essere cattivo“.

A questo punto si impongono alcuni interrogativi relativamente al significato del perdono papale per i levebvriani senza che questi paghino alcun dazio, sia pur formale, per la lacerazione dell’unità della Chiesa: è l’ennesimo inciampo nella strategia della curia vaticana, incapace – da Ratisbona in poi – di prevedere gli effetti delle proprie azioni? E’ da intendersi come l’accettazione all’interno della Chiesa dell’esistenza di posizioni in conflitto con il magistero, e la fine delle condanne comminate ai teologi eterodossi? Si spiega con una scelta di realpolitik, in base alla quale la riaffermazione dell’autorità del Papa ha un peso maggiore dell’unità dottrinaria? Oppure fa parte di una strategia di ritrattazione dell’impianto ecclesiologico sul quale l’intero Concilio è stato costruito, strategia peraltro in linea con i reiterati tentativi dell’attuale pontefice di fornirne “la corretta interpretazione”?

Fides aut Ratio, ovvero Valori non negoziabili

mercoledì 3 dicembre 2008 4 commenti

Proprio alla vigilia della Giornata Mondiale per la Disabilità, che si celebra oggi, la Santa Sede ha ribadito il rifiuto di ratificare la Convenzione sui diritti delle persone disabili delle Nazioni Unite perché agli art. 23 e 25 riconosce ai disabili parità di condizioni con gli altri cittadini nello sposarsi e “decidere liberamente e responsabilmente il numero di figli e il loro distanziamento temporale“, e nell’accedere a tutti i sanitari di assistenza e informazione sanitaria, incluso l’ambito sessuale. Secondo quanto la stravagante diplomazia vaticana afferma, la parità dei disabili con gli altri cittadini in questi campi significa che nei Paesi in cui sono ammessi l’aborto o i programmi di pianificazione familiare, la convenzione allargherebbe a nuove categorie di soggetti la possibilità di accedervi. E, si sa, la vita è un valore non negoziabile.

Valore non negoziabile è anche quello della famiglia, e per difendere quest’istituto la stessa Santa Sede ha deciso di non sottoscrivere la proposta che l’Unione Europea presenterà all’ONU allo scopo di depenalizzare ovunque l’omosessualità (che è reato in 90 Paesi, e in 22 addirittura punibile con la morte). In questo caso la motivazione ufficiale è ancora più astrusa: depenalizzare il reato per eliminare la discriminazione nei confronti delle minoranze di genere significa creare “nuove ed implacabili discriminazioni” nei confronti dei Paesi che non riconoscono le unioni tra persone dello stesso sesso. Come a dire: depenalizzare il consumo di alcool significa discriminare i Paesi in cui agli ubriachi non è permesso guidare gli autobus. O, se si preferisce, opporsi alla lapidazione delle adultere significa essere a favore dell’adulterio. Una follia logica, se non un consapevole primitivismo ideologico. Con buona pace dei troppi discorsi sulla razionalità della fede cristiana nei confronti dell’Islam, si assiste così all’ennesima alleanza tra fondamentalisti islamici e Vaticano, che preferisce coprirne i “crimini contro la vita” piuttosto che condividere il criterio tolleranza propugnato da quello stesso Occidente che si vuol far credere emanazione diretta del pensiero cristiano.

Di fronte a posizioni del genere si potrebbe scegliere il silenzio, evitando di fare da cassa di risonanza  ad affermazioni indifendibili, oppure commentare come ha fatto ieri il teologo Vito Mancuso secondo cui, si resta “davvero raggelati da un papato che ci attendevamo arcigno, antiquato, fedele alla peggiore tradizione preconciliare” ma che ora, mettendosi “pubblicamente allo stesso livello […] delle peggiori dittature” ha scelto la “strada senza ritorno” della “pura pratica di potere, conservazione di una eretica storia di dominio sulle terre, invece che di guida spirituale delle anime”: non è quindi un problema di volta in volta dei disabili, o degli omosessuali, o prima ancora delle persone in stato vegetativo, o delle coppie sterili, o dei malati di AIDS. E’ un problema che tocca chiunque viva in luoghi in cui la Chiesa pretende di dettare la linea alla politica.

Personalmente, prima di giungere a conclusioni troppo dure, attendo le mosse che di sicuro arriveranno presto da Oltretevere sul terzo valore non negoziabile, dopo vita e famiglia: la libertà di educazione dei figli. A quando la rinuncia unilaterale ai benefici per le scuole cattoliche, magari perché è negata loro la possibilità di dire che Darwin si è inventato tutto?

Update del 5 dicembre. Sono (quasi) un genio: la Conferenza Episcopale Italiana è intervenuta oggi sul terzo valore non negoziabile, ma per minacciare il governo italiano che ha tagliato i fondi (anche) per le scuole cattoliche. Il governo ha già promesso il ripristino dei fondi.

La notte di Obama (speriamo)

martedì 4 novembre 2008 11 commenti

Oggi gli Stati Uniti votano il loro presidente, che guiderà il Paese per quattro anni a partire dal prossimo gennaio. Per la successione a George W. Bush, che il premio Nobel Paul Samuelson definito “il peggior presidente americano degli ultimi 200 anni”, si fronteggiano il democratico Barack Obama e il repubblicano John McCain.

Quest’ultimo, un anziano WASP veterano di guerra, pur incarnando il profilo più tradizionale degli Stati Uniti, non è tuttavia figlio della destra religiosa che fu spina dorsale degli elettori del predecessore. Nonostante i tentativi di accreditarsi di una linea politica differente da quella di Bush, la sua incerta campagna elettorale non ha segnato una cesura sufficientemente netta dalla politica di costui. Ha scelto come vice Sarah Palin, probabilmente l’unica persona in grado di far rimpiangere Bush figlio.

Il favorito delle elezioni è perciò Barack Obama, figlio della Nuova America, giovane e carismatico candidato in grado di presentarsi come interprete di un Paese più aperto e più solidale, con più fiducia nel futuro. Molto del favore con il quale la stampa estera lo vede deriva dal sovvertimento dei luoghi comuni assicurato da “un nero alla Casa Bianca”, anche se in patria la questione razziale, accanto alla sua supposta inesperienza, può rappresentare soprattutto una debolezza. Il notevole carisma personale lo ha accreditato come interprete di un nuovo sogno americano (non a caso il suo slogan è stato change: we can believe in). Il mondo può solo augurarsi che la simpatia e la fiducia si rivelino ben riposte alla prova dei fatti.

Galbraith aveva torto. Forse

martedì 30 settembre 2008 5 commenti

Il celebre economista John K. Galbraith sosteneva che “in America l’unico socialismo ammesso è quello in favore dei ricchi”, rilettura del vecchio adagio di Wall Street secondo cui “nessuno è ateo in punto di morte, e nessuno è liberista durante una tempesta finanziaria”. In effetti, la lettura del piano di salvataggio dell’economia USA elaborato dal Segretario al Tesoro dell’amministrazione Bush, quel Henry Paulson che fino ad avantieri era l’amministratore delegato di Goldman Sachs, lasciava intendere il piano fosse poco più che un paracadute in favore degli investitori finanziari poco accorti, rimasti vittime dell’avventurismo finanziario che essi stessi hanno contribuito a inventare.

L’acquisto da parte del governo federale degli Stati Uniti dei titoli-spazzatura il cui crollo aveva determinato – e sta tuttora determinando – il dissesto delle maggiori banche d’affari americane e di alcuni altri grandi player finanziari di livello mondiale, se da un lato avrebbe dato ossigeno ai bilanci delle banche attraverso un’anomala capitalizzazione a fondo perduto, d’altro canto costituiva un modo per creare con denaro pubblico (700 miliardi di dollari, ossia quanto l’intera guerra in Iraq) un sussidio in favore di investitori borderline, di chi cioè decide di correre grossi rischi con la speranza – in genere fondata – di trattenere gli utili, quando ci sono. Un vero e proprio doping del capitalismo, se accompagnato dall’assenza di misure e strumenti di regolamentazione in grado di ostacolare il ripetersi di simili contingenze. Come riportato da Federico Rampini, un appello pubblico elaborato da un gruppo di economisti americani ha bocciato senza attenuanti l’iniziativa del governo federale affermando che “indebolire le fondamenta stesse del mercato per placare dei dissesti nel breve termine è un’operazione disperata e miope”, in grado di minare i meccanismi su cui si basa la “distruzione creatrice” che secondo Schumpeter è alla base dei processi capitalistici. (Una panoramica piuttosto completa delle diverse posizioni espresse è comunque disponibile qui, e dà idea che gli entusiasti sono davvero pochi.)

E’ un bene, quindi che il pessimo piano Paulson sia stato affondato dal Congresso? Il panico a Wall Street, che oggi ha registrato un crollo del 7%, il più alto di sempre in un solo giorno, non mi sembra un indizio significativo, se è vero che i rischi di moral hazard insiti nel piano avrebbero favorito proprio gli investitori a breve termine che nelle Borse la fanno da padroni. E tuttavia prevedo che la bocciatura del piano, che era  stato forzatamente lanciato come un “prendere-o-lasciare” basato su motivazioni di emergenza che molti analisti reputano solo in parte vere, in capo a qualche giorno sarà superata da una sua approvazione, con correttivi minimi e insufficienti, proprio perché oggi quella condizione di emergenza si è avverata  con il  deludere le aspettative degli ambienti finanziari più esposti. La tempesta perfetta, insomma. Con buona pace delle parole d’ordine dei fautori del liberismo.

La lingua di Dio. E le parole di Fini

lunedì 7 aprile 2008 10 commenti

Lo Stato ha il diritto di pretendere che nelle moschee le preghiere si facciano in italiano perché così saremmo sicuri che si tratti di predicazione religiosa e non d’istigazione all’odio nei confronti delle altre religioni”. Lo ha affermato in un comizio a Frosinone l’ex presidente di AN Gianfranco Fini.

Che per affrontare il tema dell’immigrazione si scelga come palcoscenico proprio la multiculturale Ciociaria sembrerebbe denotare solo una cosa: il Popolo delle Libertà ha una maledetta paura che nel Lazio La Destra di Storace gli sottragga i voti necessari ad aggiudicarsi il premio regionale e i cinque senatori in più che esso assicurerebbe. Tuttavia questa sarebbe una lettura ingenerosa: si sa che Fini è di tutt’altra pasta dai soliti politici perché crede alle cose che dice.

E dunque che significa una simile dichiarazione? Di sicuro, dopo aver bevuto alla fonte benedetta di Fiuggi, il Nostro non ha nulla a che spartire con il suo passato da delfino di quell’Almirante che firmò il Manifesto della Razza. Perciò la dichiarazione di ieri non discrimina i musulmani d’Italia, ma invece è da ritenersi automaticamente estesa a tutti i culti religiosi.

Così, avremo presto i cattolici tradizionalisti che si vedranno vietato dalla questura il diritto a celebrare la messa in latino, e Ratzinger per ripicca toglierà la lingua di Dante dalle benedizioni Urbi et Orbi. Gli induisti saranno costretti a recitare i loro mantra in italiano, sebbene con forte accento regionale: a Napoli per esempio il celebre Ohm diventerà probabilmente Iàmme (del resto l’ascesi si può fare anche con la funicolare). Forse persino nei giardini zen compariranno delle moderne colonnine informative recanti le istruzioni per la meditazione tradotte in perfetto italiano. Scritte in stampatello, però, così anche Gasparri le capisce.

Spesso, a contendersi certi bacini elettorali si oltrepassa la soglia del ridicolo, ma dove condurrà il piano inclinato della ricerca del consenso facile? Prevedo che un giorno qualcuno si senta in diritto di imporre anche che le dichiarazioni dei politici possano essere lette solo a voce alta. Così da essere sicuri che nessuno osi rivolgere a mente agli autori di certe scemenze una sonora, prolungata pernacchia.

Il giorno della memoria

domenica 27 gennaio 2008 4 commenti

Prima vennero per i comunisti,
e io non dissi nulla perché non ero comunista.

Poi vennero per gli ebrei,
e io non dissi nulla perché non ero ebreo.

Quindi vennero per gli intellettuali,
e io non dissi nulla perché non ero un intellettuale.

E il giorno che vennero a prendere me
non era rimasto nessuno
che potesse dire qualcosa.

(Martin Niemöller, pastore evangelico deportato a Dachau)

No alla pena di morte

martedì 18 dicembre 2007 2 commenti

Con 104 voti a favore e solo 54 contrari, l’assemblea generale dell’ONU ha approvato la moratoria contro le esecuzioni capitali. Il documento, sebbene non vincolante, esorta gli stati dove ancora esiste l’omicidio di stato (ad oggi, 51) a sospendere le esecuzioni e ridurre le fattispecie di reato per le quali sono previste. D’ora in poi sarà difficile per tutti, da Pechino alla Nigeria, da Teheran alla Casa Bianca, poter comminare ancora la pena di morte e rivestire agli occhi dell’opinione pubblica internazionale il ruolo di interlocutori affidabili e tutori dell’ordine mondiale.

E’ una vittoria della tenacia per la politica estera italiana che da tredici anni e sotto tutti i governi ha lavorato a questo risultato. Massimo D’Alema, che a questo non facile obiettivo ha scelto di legare la propria azione da Ministro degli Esteri, stavolta ce l’ha fatta.

Speriamo solo che il valzer delle dichiarazioni dei politici che riempirà i TG di stasera non diventi la solita burletta.